Valvasone

Luoghi da scoprire

Uno dei teatri più piccoli d'Italia

Secondo Marina Boaro (in Gli affreschi del Castello di Valvasone, a cura di Claudio Visintini) il piccolo teatrino di Valvasone è una peculiarità regionale, che non ha quindi altri esempi in Friuli Venezia Giulia. Anzi, per dimensioni, è uno dei teatri più piccoli d'Italia!

Il teatrino di Valvasone assume grande importanza per il periodo storico in cui è stato realizzato; ancora integro nel suo impianto strutturale è una rara testimonianza del passaggio dalle rappresentazioni in logge pubbliche ai grandi teatri dell'Ottocento. Fu costruito all'interno di una sala preesistente e stravolge le normali regole progettuali dell'epoca. 

Entrando nel castello dal ponte principale si accede al cortile interno, costeggiando il pozzo in pietra che si trova a destra e si continua il cammino verso la facciata principale postuma che offre il suo ingresso, sovrastato da un bel terrazzino con balaustra. All'interno il piano risulta più basso della quota del terreno appena lasciato all'esterno; definisce una pianta irregolare che è riconducibile a un rettangolo di nove metri e mezzo per dieci metri e mezzo. 

Un spazio ricco di storia

All'incirca la metà della superficie della sala è occupata dal palcoscenico, mentre l'altra metà è adibita a platea. L'altezza del piano è di quattro metri e settanta centimetri e ha permesso la costruzione di un unico ordine di palchi, i quali si innestano sopra la platea per mezzo di pilastrini nobilitati da decorazioni.

Il palcoscenico è stato ricostruito a opera dell'architetto Claudio Visintini.

Il teatrino, ricavato in una sala che precedentemente aveva assolto differenti funzioni, incuriosisce tutt'oggi mostrando segni dei secoli precedenti che permettono di comprendere e intuire i differenti usi della sala.

Una bella Madonna con bambino di rosso vestita è dipinta nella parte interna nord della sala; nella stessa parete sul lato sinistro è visibile una traccia di un antico affresco. La traccia di un grande camino è presente nella parete est; l'esistenza dello stesso viene svelata anche da un'interruzione dell'orditura superiore del solaio ligneo che permetteva il passaggio della canna fumaria. 

Il fregio

L'intera sala è adornata da un fregio cinquecentesco che percorre i quattro lati del teatrino.

Alla sua analisi si è dedicato Paolo Pastres nel volume Gli affreschi del Castello di Valvasone, a cura di Claudio Visintini.

Il fregio si compone di ben undici scene, alternate a vivaci puttini che illustrano episodi il cui senso a tratti si svela con immediata evidenza, per poi farsi misterioso e quasi inesplicabile, in una iconografia certamente parte di un insieme coerente e strettamente legato alla storia del luogo. 

Il fregio abbellisce una stanza che, in origine, prima della sua trasformazione teatrale, era con tutta probabilità destinata ad essere un tipico ambiente di rappresentanza all'interno del maniero, vista anche la posizione, che si affaccia sulla corte interna, rendendola di fatto, il vero e proprio ingresso per gli ospiti dei di Valvason; ambiente che, comunque, fin dall'origine, può aver ospitato intrattenimenti musicali. 

Un locale, questo, creato certamente nel corso del XVI secolo, in concomitanza con gli interventi architettonici che in quel periodo contribuirono a trasformare l'edificio da arcigno luogo di difesa in elegante residenza aristocratica, la quale doveva comunicare tutto il prestigio politico, sociale e culturale della casata che vi abitava. 

Consonanze

Il fregio del Castello si inserisce in una teoria di interventi decorativi, che vanno da Giovanni da Udine nel Castello di Colloredo di Monte Albano a Pomponio Amalteo nel cortile interno del Castello di Zoppola, anche se la sua datazione va indirizzata verso un periodo decisamente successivo, con una parte ripresa nel corso del Seicento. 

Nell'interpretazione del fregio, gioca un ruolo chiave la figura di Erasmo di Valvason. Nato a Valvasone nel 1528 da Modesto Rizzardo di Valvasone e da Giulia di Girolamo di Colloredo, marito dal 1547 della nobildonna veneziana Maria Trevisan, e venuto a morte nel 1593, a lui si devono numerose e importanti opere poetiche, caratterizzate da una vastissima erudizione. Plausibile - secondo Pastres - che il grande poeta possa essersi interessato degli abbellimenti eseguiti nella sua dimora, quantomeno per indirizzarne i temi iconografici. "Certamente Erasmo poteva essere in grado di ideare un simile programma allegorico, legando i significati delle varie scene che compongono il fregio in un nesso logico ben evidente a chi, come lui, padroneggiava nei territori della letteratura classica. Difficile quindi scindere totalmente la figura di Erasmo, con la sua straordinaria cultura e fantasia, dal fregio del teatrino". 

I temi

Sulla parete d'ingresso, sul lato sinistro, compare la scena del celebre mito di Arianna. Si ritrovano, riuniti in un unico comparto, sia l'episodio della partenza di Arianna e Teseo da Creta, subito dopo aver compiuto l'ardua impresa dell'uccisione del Minotauro, sia il crudele abbandono di Arianna sullo scoglio di Nasso, dove fu in seguito tratta in salvo da Bacco, con cui poi si unì in matrimonio. 

L'Angeleida

Proseguendo verso sinistra, il fregio mostra una coppia di angioletti che sparano con un piccolo cannone, in un connubbio decisamente inusuale, il quale potrebbe però rinviare al poema sacro di Erasmo L'Angeleida del 1590, che prende spunto dalla Gerusalemme Liberata di Tasso. 

Di seguito, la parete sinistra mostra dapprima la raffigurazione del ben noto mito di Orfeo, databile alla fine del XVI secolo, scena affiancata da una doppia coppia di angeli intenti ad avvicinare un vaso al becco di un grande uccello, simile a un pavone, mentre a destra trattengono un leone, invitato forse ad abbeverarsi alla poesia e alla musica. Sulla cornice, una tortora, personificazione di castità ed esemplarità di comportamento, una gazza e una civetta, simbolo ambiguo sia della notte e dell'oscurità sia attributo di Minerva e della saggezza. 

Orfeo è seduto sotto a un albero mentre suona, affascinando anche animali feroci, seguendo quindi fedelmente le Metamorfosi di Ovidio. 

Arione salvato dal delfino

Altrettanto celebrativa del potere della musica è la scena di Arione salvato dal delfino. 

Si vede il momento culminante della vicenda, che ha per protagonista il poeta lirico Arione Metinneo, celebre per l'abilità con cui suonava la cetra. 

Arione, imbarcato su di una nave di Corinzi, sta per essere derubato dall'equipaggio; dopo essere stato preavvertito in sogno da Apollo, il musico chiede come ultimo desiderio di intonare con il proprio strumento un canto, riuscendo così a richiamare un delfino, che lo raccolse e trasportò sano e salvo nel Peloponneso, da dove rientrò a Lesbo, isola natale.

Questa storia è tratta dalle Storie di Erodoto e dai Fasti di Ovidio. 

Al di sopra, uno splendo trompe-l'oeil con al centro un cesto di vimini colmo di fiori variopinti e due codici, uno adagiato in orizzontale e l'altro visto di scorcio. 

A fianco sono poste due coppie di puttini. A sinistra uno dei due solleva una zucca, mentre l'altro suona uno strumento rinascimentale. A destra entrambi gli amorini stanno suonando, e ai loro piedi si trova uno scoiattolo, animale emblema di prudenza e avvedutezza. 

Altri punti di interesse di:
Il Castello di Valvasone