Il Duomo, fu consacrato nel 1484 per ospitare la reliquia della Sacra Tovaglia, miracolo avvenuto poco distante, a Gruaro. I fatti risalirebbero al 1294. Durante il lavaggio dei paramenti sacri provenienti da Valvasone, sul tessuto di una tovaglia comparvero macchie di sangue che si ritenne provenissero da un’ostia consacrata dimenticata al suo interno. L’edificio sorse a partire dal 1449 in stile tardo-romanico, fu arredato nel corso del secolo successivo e ristrutturato a fine ’800 in stile neogotico, con numerosi elementi lignei sostituiti dal marmo e una nuova facciata. La chiesa ospita un organo del ’500 perfettamente funzionante, l’unico superstite ancora esistente in Italia della famosa tradizione rinascimentale veneziana. L’organo vanta fregi dorati e portelle dipinte da Pomponio Amalteo e Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, tra gli artisti più noti dell’epoca.
Il principale edificio religioso valvasonese è dedicato al Santissimo corpo del Cristo, una titolazione che riassume e spiega gran parte delle sue vicende storiche e artistiche.
Infatti, stando alla tradizione, il duomo fu costruito in seguito ad un evento accaduto a Gruaro (una località oggi in provincia di Venezia), lungo la roggia Versiola, dove nel 1294 (ma più verosimilmente nel 1394) una pia donna, intenta a lavare una tovaglia proveniente dalla vicina chiesa di San Giusto, avrebbe notato una particola consacrata, negligentemente dimenticata nel lino da un dubbioso officiante, da cui sgorgava del sangue che segnava indelebilmente il tessuto.
I documenti attestano che all’inizio del XV secolo la sacra tovaglia era stata trasportata a Valvasone e posta in un apposito altare dell’antica pieve intitolata a Santa Maria delle Grazie e San Giovanni, soggetta, dopo la costruzione del duomo, ad un decadimento che la portò ad un lento ma inesorabile declino, concluso con la definitiva demolizione nel 1866.
Il 28 marzo 1454 papa Nicolò V dispose che la preziosa tovaglia fosse affidata ai Valvason (che nel frattempo avevano ceduto il castello di Gruaro all’abate di Sesto, in cambio delle ville di San Lorenzo e Orcenico Superiore), a condizione che gli stessi edificassero una nuova chiesa dove ospitarla, da dedicare, appunto, al Santissimo Corpo di Cristo.
La sentenza romana si sovrapponeva alla decisione, presa nel 1449 nella chiesa duecentesca di San Giacomo (situata nell’attuale ex Posta), sotto l’auspicio del conte Giacomo Giorgio di Valvason (le insegne dei conti, giuspatroni del duomo, sono ben visibili in vari luoghi della chiesa, tanto da farla apparire quasi una cappella palatina), di costruire un nuovo edificio religioso nel quale conservare anche la reliquia, entro la seconda cerchia muraria, in un’area di proprietà comitale, in sostituzione dell’inadeguata e decentrata parrocchiale.
I lavori di edificazione del nuovo centro della vita religiosa valvasonese non risultano particolarmente celeri, forse a causa della presenza di una parrocchiale ancora agibile, e solo nel 1466 avvenne la copertura del tetto; mentre la sacra reliquia venne trasferita nella nuova e definitiva dimora intorno al 1479, data in cui la chiesa era certamente officiata, anche se la conclusione della fabbrica si attesta attorno al 1484, quando l’8 settembre, nel giorno della nascita di Maria, si procedette alla solenne consacrazione.
Dal punto di vista architettonico l’edificio si presenta con una veste estremamente semplice e austera, che ricalca gli schemi tipici dell’ordine francescano (a sua volta derivato da quello cistercense), forse anche a causa di esigenze pratiche legate al sito prescelto.
La struttura edilizia che oggi ammiriamo è sostanzialmente la stessa delle origini quattrocentesche: un’ampia aula rettangolare, disposta come uso verso oriente (su di una sede che risulta più bassa rispetto alla piazza circostante), a navata unica, con una copertura a capriate lasciate visibili, mentre archi a sesto acuto incorniciano il presbiterio a pianta rettangolare e le due cappelle che l’affiancano (quella a sinistra meno profonda per far posto alla possente torre campanaria, che ancora ospita una campana fusa nel 1733, con il metallo di un esemplare di due secoli precedente).
In origine la facciata doveva rispecchiare fedelmente la severità dell’interno, proponendo un tetto a capanna e un unico ingresso al centro, sormontato da un grande oculo, ai cui lati, forse, ne erano posti altri due di minori dimensioni, ricreando simbolicamente la santa Trinità.
Il presbiterio, invece, era illuminato da due alte finestre a sesto acuto, murate nel XIX secolo e sostituite con un rosone. Recentemente le due aperture sono state ripristinate, con la conseguente eliminazione dell’inserzione ottocentesca, restituendo questa parte dell’edificio alla sua primitiva struttura; tra l’altro ciò ha consentito di evidenziare sulla parete di fondo i resti di una decorazione ad affresco di tipo fitomorfo.
L’aspetto attuale della facciata e di gran parte del tempio si devono ad una serie di radicali interventi edilizi realizzati tra il 1889 e l’inizio del Novecento (con l’intervento dal sanvitese Luigi Paolo Leonardon).
Inoltre, la nuova facciata tardo ottocentesca – enfatizzata dall’abbattimento della torre che le stava di fronte – modificava radicalmente la funzione del fianco settentrionale, il quale, per la particolare conformazione urbanistica della zona, aveva ricoperto in sostanza il ruolo di prospetto maggiore (similmente a quanto accade nel duomo di Spilimbergo), come si può notare ancor’oggi dal ricercato fregio in cotto e dalla presenza di affreschi decorativi a motivi geometrici e figurativi (così come del resto erano certamente affrescate tutte le facciate delle costruzioni che circondavano il sacro edificio), tra i quali spiccano i resti di alcuni busti di santi, inseriti nello spazio negli archetti pensili sotto il cornicione.
L’interno del duomo, nonostante gli oltre cinquecento anni di vita, non si discosta troppo dalla primitiva volontà di creare un ambiente di mistica semplicità, nel quale l’attenzione del fedele si doveva indirizzare esclusivamente verso la sacra reliquia eucaristica.
Un intento, questo, reso ancor più evidente dalle recenti modifiche (del 2004) della parte absidale, culminate con l’arretramento dell’altare seicentesco posto sotto l’arco sacro, ripristinando in tal modo l’antica partizione dello spazio.
L’altar maggiore, opera della seconda metà del Seicento, riproduce l’architettura di un piccolo tempio, arricchito da marmi policromi, nel cui tabernacolo dal 1793 si custodisce la sacra tovaglia. Al sopra di esso ha trovato collocazione un grande Crocifisso ligneo, attribuito a Pomponio Amalteo o, meglio, alla sua bottega, datato attorno al 1556-1557 e realizzato in uno stile volutamente attardato, tanto da richiamare esempi del secolo precedente.
Nel XVI secolo l’altare maggiore era ornato da una pala, ora scomparsa, che raffigurava il Salvatore, mentre il sacro lino era conservato in una piccola ancona di rame indorato.
In seguito alle raccomandazioni espresse nel 1584 dal visitatore apostolico Cesare de Nores, vescovo di Parenzo, il quale seguiva disposizioni controriformistiche, l’altare maggiore fu dotato di un tabernacolo in cui collocarela Santa Eucaristiaal centro del coro e non più, come avveniva anche a Valvasone, in una semplice nicchia.
Nel corso del XVII secolo pure le due cappelle laterali, quella a sinistra dedicata ai santi Giacomo Maggiore e Cristoforo e l’altra a santa Caterina d’Alessandria, subirono radicali riforme.
Lungo le pareti laterali sono collocati altri due altari: a sinistra quello dedicato a San Nicolò vescovo e sul lato opposto quella della Santa Croce.
Il primo è in stile neogotico, realizzato durante i lavori del tardo Ottocento che hanno coinvolto anche la facciata, e sostituisce un altare del 1678 opera dei tagliapietre di Meduno Giuseppe e Daniele Ciotta. In esso è collocata una pala del pittore veneziano Matteo Luigi Canonici, pagata nel 1791, incui è effigiato San Nicola in preghiera davanti alla Vergine con il Bambino.
Invece l’altare dedicato alla Santa Croce – che nel 1576 la contessa Giulia di Valvasone dotò di un lascito di ben 1000 ducati – fu eseguito nel 1705 da Francesco Caribolo, subendo successive pesanti modifiche agli inizi del Novecento, e ospita una pala del pittore Anzolo di Portogruaro del 1605, incui è raffigurata Sant’Elena e il ritrovamento della Croce.