Tòp
L´attuale palazzo dei Conti Toppo faceva parte di uno degli otto masi (case rurali a conduzione familiare) che nel 1220 costituivano il borgo di Toppo e Pino.
Ristrutturazioni effettuate dopo il terremoto del 1976 hanno messo in luce che in almeno tre casi la sede dei masi medievali era occupata da insediamenti di epoca romana. Nel XVI secolo sono 25 i masi documentati.
Palazzo Toppo-Wassermann sorge ai piedi del castello, nella borgata di Pino, chiamata anche “dei Martins”, dal nome degli antichi proprietari del maso originario da cui si è sviluppato nel Cinquecento questo interessante esempio di dimora signorile di campagna. Rimaneggiato nel Settecento, il palazzo era sede amministrativa per gli affari della famiglia Toppo e, insieme, luogo di villeggiatura.
Il portone d’ingresso, datato 1543, reca incisa sull’architrave la scritta latina “Vengo aperto perché escano i cattivi. Vengo chiuso perché restino i buoni”.
Al piano terra sono conservati due affreschi di arte sacra popolare del XVII secolo, strappati dalle facciate di edifici pericolanti per il terremoto. Dal cortile si accede alla cappella gentilizia di San Girolamo: al suo interno due dipinti settecenteschi (forse di Gian Battista Pittoni), l’acquasantiera longobarda risalente al Mille e la statua di Santa Lucia in pietra dipinta, attribuita a un lapicida medunese del Quattrocento.
Dal Palazzo Toppo Wassermann inizia il percorso dei masi che conduce alla scoperta degli originari nuclei del borgo. Nel piazzale antistante al palazzo si osserva un edificio secentesco con arco d’ingresso, un tempo residenza estiva dei Conti di Spilimbergo. Diversi sono gli edifici in sasso di Borgo Martins, come il maso (XVII-XVIII secolo) che s’incontra salendo lungo via della Colonia. Poco oltre, sulla sinistra, inizia la carrabile che porta al castello.
Gli imponenti resti del castello dominano la piana e l’abitato di Toppo dalle pendici del monte Ciaurlèc, e sono visitabili con un percorso guidato. Il maniero, restaurato nel 2012, è uno dei più importanti esempi di architettura fortificata del Friuli del XII-XIV secolo, grazie al suo buono stato di conservazione e al fatto che non ha subito mutamenti dopo il XV secolo. Nel Cinquecento appare già abbandonato e in rovina, poiché i signori di Toppo si erano trasferiti ai piedi del colle, nell’attuale palazzo Toppo-Wassermann.
Il nucleo centrale del fortilizio, delimitato da una cerchia di mura dall’andamento poligonale, racchiudeva la possente torre-mastio di epoca feudale. Al suo interno gli scavi archeologici hanno portato alla luce l’impianto di una zecca clandestina che coniava monete false, veneziane e carinziane, nel primo trentennio del XIII secolo. A fianco del mastio sorgeva la dimora dei signori di Toppo. Una cerchia esterna proteggeva il nucleo centrale e delimitava lo spazio entro cui si collocavano le strutture di servizio: pozzo, stalle, rimesse e piccole officine artigiane. Su questa cortina fu eretta anche la chiesetta di Sant’Antonio Abate, con i pregevoli affreschi del XIV secolo scoperti durante i lavori di restauro. La mulattiera che dal sottostante villaggio saliva al castello è in fase di ripristino, per consentire ai visitatori di raggiungere a piedi il maniero, con una passeggiata nel bosco.
Scendendo alla borgata di Toppo per via della Colonia e via dei Masi, si nota sulla sinistra, all'incrocio con via Fornace, l'arco d'ingresso di un edificio ristrutturato, che era parte di un maso del XV-XVII secolo. Proseguendo si possono ammirare lungo il lato sud di via Fornace una serie di edifici del XVII-XVIII secolo, pertinenze di un antico maso. Via Fornace, che presto riavrà la sua vecchia fontana, conserva le sue case a corte con portico e ballatoio esterno, in coerenza con l’orto e il frutteto retrostanti.
Poco oltre, vi è il bivio che sale alla fornace di calce (1926-57), mentre sulla destra inizia la bella pista ciclabile che porta a Travesio.
Qui, nel capoluogo, è d’obbligo la visita a uno dei più rilevanti cicli pittorici rinascimentali del Friuli, custodito nell’antica pieve di San Pietro rinnovata nell’Ottocento in stile neoclassico. Si tratta degli affreschi (1516-1526) di Giovanni Antonio de Sacchis detto “il Pordenone”, un artista che rivaleggiò niente meno che con Tiziano. Formatosi in ambiente veneto, il Pordenone è pittore complesso, dalle influenze molteplici che vanno da Giorgione (per le mezze tinte trascoloranti le une nelle altre) a Michelangelo (per la monumentalità delle figure). Nei dipinti di Travesio, che hanno per tema la vita dell’apostolo Pietro, colore e senso plastico anticipano il manierismo.
La chiesa è arricchita inoltre da due sculture del grande lapicida Giovanni Antonio Pilacorte: il portale della sagrestia (1484) e il magnifico fonte battesimale dall’ampio catino decorato con motivi vegetali (1490).